Solennità dell'Immacolata





ETERNA È LA SUA MISERICORDIA

Fratelli e sorelle, vorrei dedicare qualche tempo a capire il mistero che stiamo celebrando. La volontà di capire, di pensare con la propria testa, è tutt’altro che un rischio per la fede, che dovrebbe invece nutrirsi di questa capacità, che ci è data dalla natura umana: la capacità di rendersi conto bene delle cose in cui si crede, non tanto per derivarle dalla propria saggezza, ma per penetrarne il contenuto e goderne la bellezza.
Volendo  fare  con  voi  tre  piccoli  passi,  per  comprendere  meglio  la figura di Maria e ciò che Ella ci rivela, con la sua vicenda e la sua collocazione nella storia della salvezza, direi che il primo passo da fare è vedere tutta la sua vita orientata a Cristo e a partire da Lui: diversamente non si capisce la ragazza di Nazareth, con tutto quello che avviene per lei, come abbiamo sentito nel Vangelo di Luca, nel momento dell’Annunciazione e da lì in avanti. Può sembrare un’osservazione ovvia, anche un po’ banale se vogliamo, ma porta in sé un significato molto concreto, che inviterei a verificare e a tradurre in una domanda: che spazio, che importanza, che peso specifi co ha per me la relazione con Gesù?
Avere  una  vaga  idea  di  Dio,  creatore  onnipotente,  che  ci  ha  impartito  degli ordini, cui obbediamo più o meno volentieri per avere salva l’anima, non è il cristianesimo. Meglio, il cristianesimo è anche questo, ma a partire dall’annuncio del Vangelo, che invita a rallegrarci, perché il Signore viene ed è il Figlio di Dio. Per questo ci domandiamo, davanti al mistero dell’Immacolata, e chiedendo a Lei la sua materna intercessione: che importanza ha per noi la relazione viva, personale, amicale con Gesù Cristo? Lo cerchiamo, lo ascoltiamo, lo imitiamo, lo seguiamo?
La sua Parola e il suo Spirito sono la luce della nostra vita? Rallegriamoci: questa è la gioia vera, che ci pervade come Maria, quando mettiamo al centro della nostra vita la relazione con il Signore Gesù.



Celebrare l’Immacolata ha un secondo valore e significato: farci capire in cosa consiste il peccato, cosa di non poco conto, perché gran parte della nostra vita morale rischierebbe di andare nella direzione sbagliata. Immacolata, diciamo, cioè senza macchia, nemmeno quella del peccato originale: ma qual è il peccato originale? Il peccato originale e “originante” di Adamo ed Eva è la decisione di non di “servire” ma di “servirsi”. Ai progenitori Dio aveva detto: “Godete pure della creazione, ma dipenderete dalla mia volontà, una volontà d’amore, e non toccate quell’albero...

Di fronte a questa piccola parte del creato, anziché servirvene, mettetevi in una condizione di servizio...”. “Sappiamo noi come dominare, come esercitare il potere sulla creazione”, hanno pensato Adamo ed Eva, e questo è il peccato, la macchia che rovina la nostra vita, malattia profonda del nostro cuore: non la pura e semplice trasgressione di un regolamento, o di una legge esterna, ma il pensare che il successo della vita consista nell’avere potere su qualcosa o qualcuno. I problemi che possono nascere in famiglia, per esempio tra gli sposi, o in una convivenza (città, luogo di lavoro, scuola...), nascono proprio da qui, dalla decisione non di servire ma di servirsi, sempre e comunque, in ogni occasione. Cos’è il mondo? Qualcosa di cui servirsi. E la moglie, il marito? Una donna, un uomo di cui servirsi, da tenere...finché serve. E i genitori? A mio servizio. Guardiamo invece come si capovolge la logica di questa donna che, di fronte all’annuncio di diventare nientemeno che la madre del Salvatore del mondo, risponde: “Sono la serva del Signore...si compia in me secondo la tua parola”.

Nell’esaminare la nostra vita cristiana, allora, poniamoci questa domanda: come colgo le mille circostanze che mi capitano nell’arco di una giornata? Come occasioni di cui servirmi, da dominare, spremere, possedere e governare, o come occasioni per esprimere l’attitudine a fare qualcosa di buono perché, se non servo...non “servo”... Abbiamo visto, fino a questo punto, che non si capisce Maria se non nella sua relazione con Gesù, e non si capisce il peccato se non come volontà di servirsi delle cose e delle persone (io al centro, e tutto intorno a me...). Non si capisce, per finire, l’amore (scusate se è poco, visto che è una delle componenti più importanti della nostra esperienza umana...) se non a partire dalla checaritomene, termine greco con il quale si indica colei che è “graziata”, cioè “piena di grazia”. L’amore non lo si capisce se non a partire dalla gratuità, dall’iniziativa di Colui che ci ama, e per noi uomini la “grazia” è necessariamente legata alla misericordia. Di “miseri” come noi nel creato non ce ne sono: le altre creature, infatti, non possono conoscere questa condizione, perché sono automaticamente obbedienti alla legge che Dio ha inserito nella loro natura, mentre noi ci veniamo a trovare nella “miseria” ogni volta che ci ribelliamo e facciamo l’esperienza del peccato, rispetto alla quale l’unica via di uscita è la “grazia”.

Anche noi, dunque, “pieni di grazia”, non come Maria evidentemente,  non  dall’istante  del  nostro  concepimento,  ma  certamente  dietro a Lei, e avendo Lei come punto di riferimento e direzione della nostra personale santità.

Vescovo Diego
Cattedrale, 8 dicembre 2015
Solennità dell’Immacolata

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