Beato Teresio Olivelli



Memoria Beato Teresio Olivelli - 17 Gennaio 1945

Nato a Bellagio (CO) nel 1916, Teresio Olivelli frequenta le ultime classi elementari a Zeme, dove la famiglia ritorna nella casa paterna. Dopo il Ginnasio a Mortara e il Liceo a Vigevano, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pavia, come alunno del collegio Ghislieri.
Nel tempo degli studi ginnasiali, liceali e universitari, come pure nell’anno di insegnamento universitario, a Mortara, a Pavia e a Torino, partecipa intensamente alle attività di Azione Cattolica e della Fuci e della S. Vincenzo, poiché avverte l’impellente richiamo di portare i valori evangelici nei diversi ambienti sociali, specialmente del mondo universitario, non temendo di affiancarsi all’unica espressione politica consentita, il fascismo. Con il supporto di una fede intensamente vissuta, opera altresì là dove il bisogno dei più poveri lo chiama per lenire sofferenze materiali e spirituali.



E’ questo il periodo in cui diventa più concreta la sua vocazione alla carità, che testimonia con crescente ardore. Realizza così nell’Azione Cattolica una feconda esperienza spirituale e formativa, prefigurante alcuni significativi tratti del suo futuro cammino. Laureatosi nel novembre 1938, si trasferisce all’Università di Torino come assistente della cattedra di diritto amministrativo. Inizia una stagione di intenso impegno socio-culturale, caratterizzato dallo sforzo incessante di inserirsi criticamente all’interno del fascismo, con il proposito di influirne la dottrina e la prassi, mediante la forza delle proprie idee ispirate alla fede cristiana. Questo tentativo di “plasmare” il fascismo è finalizzato unicamente ad affrontare un’emergenza: la costruzione di una società migliore.


Vince pure i littoriali del 1939, sostenendo la tesi che fonda la pari dignità della persona umana, a prescindere dalla razza. Chiamato a Roma presso l’Istituto Nazionale di studi e di ricerca, dove può intrattenere rapporti con personaggi autorevoli del panorama culturale e politico italiano, vi opera effettivamente per otto mesi: infatti rifiutando l’esonero decide di intraprendere il servizio militare. E’ in corso una guerra imposta al Paese, il quale deve subire; Teresio non vuole considerare dall’alto di un ufficio e con distacco la maturazione degli eventi, ma desidera inserirsi in essi, con eroica abnegazione. In particolare, è fermamente determinato a stare con i soldati, la parte più esposta e quindi più debole del popolo italiano in lotta. Nel 1940 è nominato ufficiale degli alpini: chiede di andare volontario nella guerra di Russia per stare accanto ai giovani militari e condividerne la sorte. Sopravvissuto alla drammatica ritirata, mentre tutti fuggono egli si ferma a soccorrere eroicamente i feriti, con gravissimo rischio. Rientrato in Italia nella primavera del 1943, abbandona definitivamente la brillante carriera “romana” e, all’età di 26 anni, ritorna in Provincia per dedicarsi all’educazione dei giovani come rettore del Ghislieri, avendo vinto il relativo concorso al quale si era presentato prima di partire per il fronte russo.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si trova ancora sotto le armi ma non volendo farsi complice dello straniero che occupa l’Italia, non si arrende ai tedeschi, pertanto viene arrestato e deportato in Germania. Il suo rifiuto di collaborare con i nazifascisti, che causa il suo primo arresto, va letto non solo da un punto di vista politico come fedeltà al Re, cioè al potere legittimo, ma anche dal punto di vista soprannaturale della carità. Rifiuta di collaborare con i nazifascisti per fedeltà al Vangelo, rifiuta di mettersi al fianco di un regime e di una ideologia anticristiana: il nazismo. La sua è una scelta dettata anche da motivi religiosi nella prospettiva dell’avvento di «un mondo nuovo più cristiano»,[1] come scrive allo zio sacerdote qualche giorno prima. Fuggito si inserisce nella resistenza cattolica bresciana. La sua è una adesione peculiare: infatti non agisce secondo criteri ideologici o di partito, ma unicamente secondo i principi della fede e della carità cristiana.
Quella di Teresio Olivelli è sì una partecipazione generosa alla lotta di liberazione con le altre forze sociali del Paese, ma più profondamente è testimonianza viva del Vangelo in tutte le espressioni della carità per l’uomo, in momento in cui si accendono i roghi dell’odio. Fonda Il Ribelle, foglio clandestino di collegamento tra i partigiani di ispirazione cattolica; in queste pagine egli esprime il suo concetto di resistenza; essa è rivolta dello spirito alla tirannide, alla violenza, all’odio; rivolta morale diretta a suscitare nelle coscienze dei sottomessi il senso della dignità umana, il gusto della libertà. Scrive la famosa preghiera Signore facci liberi, comunemente detta “Preghiera del ribelle”, perché destinata all’orazione dei partigiani, chiamati ribelli. In questo testo definisce se stesso e i suoi compagni “ribelli per amore”. Opera nella realtà caritativa-assistenziale che fa capo alla Curia Arcivescovile di Milano. È ritenuto dai nazifascisti un nemico in quanto esponente di quel mondo cattolico che pro­muove un ordine di valori sui quali primeggia la carità cristiana, volta a costruire la civiltà dell’amore contrapposta a quella dell’odio propugnata dai nazifascisti. Tutto ciò e la diffusione tramite il giornale Il Ribelle di un pensiero ricco di umanità e squisitamente evangelico costituiscono i motivi del suo arresto che avviene a Milano nell’aprile 1944. Segue la deportazione nei campi nazisti prima in Italia, poi in Germania: Fossoli, Bolzano-Gries, Flossenburg, Hersbruck: Teresio comprende che è giunto il momento del dono totale e irrevocabile della propria vita per la salvezza degli altri. 





In questi luoghi aberranti e disumani, esprime in pienezza l’offerta di sé diventando testimone di carità e di aiuto fraterno, anche a costo della propria vita. Interviene a difesa dei più deboli e dei più colpiti, interponendosi e prendendo lui le percosse destinate ad altri; rinuncia alla sua razione di cibo per i malati e gli esausti; pulisce i colpiti da dissenteria. Ammirevole è la sua missione a favore dei moribondi, amorevolmente accompagnati da lui nelle fasi che precedono la morte. Ai defunti dona dignità attraverso la sua instancabile orazione. Questo atteggiamento suscita nei suoi confronti l’odio dei capi baracca, che di conseguenza gli infliggono dure e continue percosse. Esse non fermano il suo slancio di carità, a causa del quale è consapevole di poter morire: tuttavia sceglie di correre tale rischio. Ormai deperito, si protende in un estremo gesto d’amore verso un giovane prigioniero ucraino brutalmente pestato, facendo da scudo con il proprio corpo. Viene colpito con un violento calcio al ventre dal kapò. Questi reagisce violentemente su Olivelli e intende punirlo perché caritatevole, volendo rifiutare quella sua carità che sfida e sconfigge la propria violenza, che pretende sempre vittoriosa ed assoluta. Portato in infermeria, muore il 17 gennaio 1945 dopo giorni di agonia trascorsa nella preghiera.




La Preghiera del Ribelle

di Teresio Olivelli e Carlo Bianchi


  
Signore, che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce segno di contraddizione,che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito contro le perfidie e gli interessi dominanti, la sordità inerte della massa, a noi, oppressi da un giogo numeroso e crudele che in noi e prima di noi ha calpestato Te fonte di libera vita, dà la forza della ribellione.
Dio che sei Verità e Libertà, facci liberi e intensi: alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze, vestici della Tua armatura.

Noi ti preghiamo, Signore.

Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocifisso, nell'ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria: sii nell'indigenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nell'amarezza.

Quanto piú s'addensa e incupisce l'avversario, facci limpidi e diritti.
Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare.

Se cadremo fa' che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri Morti a crescere al mondo giustizia e carità.

Tu che dicesti: "Io sono la resurrezione e la vita" rendi nel dolore all'Italia una vita generosa e severa.
Liberaci dalla tentazione degli affetti: veglia Tu sulle nostre famiglie.

Sui monti ventosi e nelle catacombe della città, dal fondo delle prigioni, noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che Tu solo sai dare.

Signore della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore.














Commemorazione a Trezzo sull’Adda del sottotenente degli alpini Teresio Olivelli. La figura di questo martire, medaglia d’Oro della Resistenza, è stata commemorata dal gruppo alpini di Trezzo sull’Adda, sezione di Monza, con una cerimonia densa e solenne il 4 marzo 2005, presente monsignor Barbareschi, suo compagno di lotta nella Resistenza e nel salvataggio di migliaia di ebrei perseguitati.






A Trezzo c’erano centinaia di alpini giunti anche da ogni parte della Lombardia con numerosi presidenti di sezione; c’erano tante autorità, civili e militari, esponenti dell’Associazione partigiani e dell’Associazione combattenti e reduci. C’era il presidente dell’Associazione Fiamme Verdi, la formazione della Resistenza nella quale militò clandestinamente Olivelli e Carlo Tinelli, cittadino trezzese internato numero 44.462 in campo di concentramento. La nostra sede nazionale era rappresentata dal consigliere nazionale Cesare Lavizzari e dal direttore generale Luigi Marca.

Nella chiesa dei santi Gervaso e Protaso il prevosto don Peppino Ghezzi ha concelebrato una Messa con monsignor Giancarlo Moretti e monsignor Giovanni Barbareschi. È stato proprio quest’ultimo, compagno di Olivelli nella Resistenza e Giusto fra le Nazioni (un riconoscimento che lo Stato di Israele concede a chi ha contribuito a salvare la vita agli ebrei perseguitati dal nazifascismo), a portare una testimonianza sconvolgente per la sua intensità, rendendo pubblici, a sessant’anni di distanza, particolari che disegnano tutto il percorso di vita salvifico che lo ha portato a donare tutto agli altri dalle misere razioni di cibo ai vestiti anche in condizioni terribili e disperate della prigionia.

L’intervento di monsignor Barbareschi è di così alto profilo che ci costringe a limitare la cronaca: non sarebbe infatti possibile rendere testimonianza a Olivelli, alpino, gigante di carità e di amore, meglio delle parole che monsignor Barbareschi ha pronunciato all’omelia, ascoltato in assoluto silenzio da quanti gremivano la chiesa e che riportiamo nelle sue parti essenziali.

Non un commento alla parola di Dio scritta e proclamata in questa liturgia, ma il ricordo ed il saluto ad una parola di Dio viva e alla testimonianza resa nella persona e nella vita di Teresio Olivelli. Ciao, Teresio. In questi sessant’anni non ho mai parlato di te, non ho mai parlato della nostra amicizia. Dal novembre ’43 all’aprile ’44, abbiamo faticato assieme per il nostro giornale Il Ribelle , per aiutare gli ebrei perseguitati, per sostenere le Fiamme Verdi in montagna. La prima parola che sgorga dal mio cuore è un grazie immenso Ti ho conosciuto innamorato della libertà di ogni uomo, ti ho visto commosso quando ti ho detto che il fondamento della mia vocazione sacerdotale era in quella frase della lettera di Paolo ai Galati: In libertate vocati estis (siete chiamati a realizzare la vostra libertà, n.d.r.).

E tu, mi hai risposto con quella frase, poi diventata articolo di fondo del nostro giornale: Non ci sono liberatori, ma uomini che si liberano. Questa è la buona novella, questo è il Vangelo. E continuavano i nostri ragionamenti, solo l’Amore è la concretizzazione della nostra libertà, ogni rapporto con la realtà, con le persone, che non sia un atto d’amore, è un rapporto di dipendenza, di schiavitù. Dipendenza dalle abitudini, dai condizionamenti, dalle emozioni, o dagli interessi del momento. E tu mi dicevi: Si diventa ogni giorno più liberi, od ogni giorno più schiavi . Così è nata, ricordi, la tua preghiera: Signore facci liberi, Signore facci limpidi e diritti.

Ricordi la prima volta che ci hai letto la tua preghiera, e Carlo Bianchi, padre di tre figli ed in attesa del quarto, che non ha potuto vedere perché è stato fucilato a Fossoli, ti ha fatto aggiungere quella frase: Veglia tu sulle nostre famiglie . Quando Carlo, tuo grande amico, aveva scelto di stare al tuo fianco, prima aveva chiesto che andassi a parlare a sua moglie Albertina. Io sono andato ed ho chiesto ad Albertina: Signora, lei è d’accordo che Carlo rischi, rischi la vita ? , e quella donna mi ha risposto: Sì, perché solo così i figli saranno orgogliosi di lui .

Così abbiamo camminato assieme, Teresio, in quei mesi, il nostro giornale, le nostre idee, l’aiuto ai perseguitati, ma io devo dire un altro grazie. Grazie Teresio della tua fede, ti ho conosciuto innamorato della persona di Gesù Cristo, e desideroso di testimoniare il suo amore. Dal tuo testamento metto in evidenza alcune frasi: lo hai scritto, quel testamento, su un foglio di carta straccio, il sette agosto del ’44, in un campo di concentramento a Fossoli, e lo hai affidato ad una persona che credevi amica, perché lo facesse arrivare ai tuoi cari.

Non oso commentare, dico solo che quel testamento è arrivato ai tuoi solo quindici anni dopo la tua morte . Rotto dall’emozione, monsignor Barbareschi, si ferma nel più assoluto ed attento silenzio dei fedeli, per poi proseguire: Così scrivevi: Mamma, quanto amata! , e citi il libro di Giobbe, Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il Signore e gloria a lui nell’alto dei cieli . Potrebbero essere parole abituali se non sapessimo dove e quando le hai scritte, mentre era vicino a te la morte. E aggiungevi: Di gran cuore perdono a tutti coloro che mi fecero del male .

Io so a chi pensavi in quel momento, pensavi a chi ha tradito e tu sei stato arrestato, pensavi a chi ha parlato e tu sei stato scoperto nel campo di Fossoli, dove eri riuscito a nasconderti Teresio, grazie, vorrei avere la tua fede, e te lo dico io, prete da sessant’anni, felice di essere prete. Ma vorrei avere la tua fede ed il coraggio della tua testimonianza. I miei risparmi, continui nel testamento, ai poveri di Pavia, di Mortara, di Tramezzo. Al Ghisleri, il Collegio Universitario di cui eri Rettore, il mio Cristo dipinto su tela . C’è una frase che mi hai ripetuto spesso durante le nostre chiacchierate: Nessuno ha un amore più grande di colui che dona la sua vita . E ancora: Qui facet veritatem venit ad lucem (Colui che opera in verità raggiunge la luce, n.d.r.)


 

La verità non si dice, la verità si fa perché la verità è vita. Teresio, hai vissuto fino all’ultimo la tua testimonianza di verità. Ricordi quel Natale, in campo di concentramento, quelle piccole cinque patate, che costituivano il pranzo, e tu ne hai donate quattro ai tuoi compagni di prigionia, e dicevi loro: Io non ho fame . Ricordi la difesa di quel compagno, comunista ucraino, che veniva ingiustamente torturato: ti sei ribellato, ti sei messo di mezzo ed hai preso un calcio che ti ha sfondato lo stomaco. Il capo era un polacco, capo baracca, della tua baracca, e tu sei finito in infermeria.

Ti sei reso conto che stavi per morire ed hai voluto fare un altro gesto: hai donato i tuoi vestiti ad un tuo compagno, tranne la giacca, perché portava il disco rosso dei detenuti pericolosi. Chi ti è stato vicino fino alla morte ci ha detto che le tue ultime parole sono state: Gesù, ti ho amato in terra nella sofferenza, ti amerò in cielo nella gioia . Ed hai voluto pregare per i tuoi cari, per i compagni di lotta, per i nemici. Fra quei compagni di lotta c’ero anch’io, e ti ringrazio di avermi ricordato. Così è morto Teresio. Davanti a questa figura, davanti a questo alpino, davanti a questo cristiano, c’è solo il silenzio e la venerazione. Non osiamo dire più nulla, solo pensare e pregare, per dirti: grazie Teresio .


Dopo la S. Messa, si è composto l’inquadramento per lo sfilamento attraverso le vie cittadine, con l’alzabandiera e la deposizione di corona di alloro al monumento ai Caduti trezzesi, poi al cippo dedicato ai Caduti della Resistenza ed infine al cippo dedicato dal gruppo alpini a Teresio Olivelli, del quale ha preso il nome.

Trezzo sull'Adda, 4 Marzo 2005










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