La Solidarietà attraversa i confini
Saluto
Introduttivo di Mons. Vescovo Oscar Cantoni in occasione
dell’incontro interdiocesano
La solidarietà attraversa i confini
Como, Basilica di san Fedele, 24 febbraio 2019
La solidarietà attraversa i confini
Como, Basilica di san Fedele, 24 febbraio 2019
Caro
fratello vescovo Valerio, cari amici della Caritas di Lugano,
Sono
lieto di accogliervi, anche a nome degli animatori della nostra
Caritas di Como, dei sacerdoti, dei diaconi e di tutta la santa
Chiesa di Dio che è in Como.
E’
una vista, la vostra, molto gradita e consolante, già in programma
da alcuni mesi e poi differita. Abbiamo tanti motivi per ravvivare la
nostra secolare comunione, per condividere problemi comuni, per
affrontare le sfide del presente e pensare insieme nuove e possibili
forme di collaborazione, in piena unità di intenti.
Vorrei
innanzitutto ringraziare vivamente i numerosi volontari ticinesi che
fin dagli scorsi anni, in momenti difficili di emergenza profughi, ci
hanno aiutato a rendere meno pesante la situazione di questi nostri
fratelli bisognosi di aiuto e amicizia. Si sono nel tempo sviluppate
tante forme di solidarietà, di coinvolgimento in progetti, nati per
venire incontro alle diverse urgenze e per far fronte a numerosi
problemi che si sono susseguiti e che esigevano soluzioni immediate.
Per il prossimo immediato futuro non mancano interrogativi per far
fronte a una situazione impegnativa, che di fatto esiste (ed è
sempre più problematica).
In
questo contesto, tuttavia, mi piace sottolineare che, come Chiesa, il
nostro intento non è tanto solo organizzativo, come se la Caritas
fosse una qualunque ONG. Attraverso il nostro impegno di servizio
agli ultimi noi affrontiamo un compito ben più vasto, che definirei
così:”come raccontare l’amore di Dio, agli uomini di oggi,
facendoci interpreti della sua misericordia a partire dai poveri, dai
profughi che Dio ci dona e che incontriamo sulle nostre strade,
poveri nei quali si identifica il volto di Cristo? La nostra
missione, allora, va al di là dell’affrontare le emergenze. Qui
c’è di mezzo il tema dell’evangelizzazione, fondamentale compito
della Chiesa. Essa ha proprio questa irrinunciabile e primaria
finalità, che oggi diventa veramente una sfida. Ed è proprio
attraverso l’impegno attivo della carità, nel mettersi al servizio
umile e quotidiano dei nostri fratelli emarginati che noi, come
Chiesa, raccontiamo al mondo, distratto e spesso disorientato, il
volto del Dio di Gesù Cristo, il quale ci accoglie tutti come suoi
figli, al di là della razza, della provenienza, dei meriti
personali, e perfino della stessa religione.
Ecco
perché il compito della Chiesa, mentre assicura un fraterno aiuto ai
fratelli profughi, ai senza dimora, a quanti attraversano svariate
forme di povertà fisiche e spirituali, ha il delicato scopo
educativo di accompagnare quanti si dedicano generosamente alle
diverse forme di volontariato Caritas per aiutarli a conoscere ed
approfondire le motivazioni e la bellezza del loro impegno, così che
tutti i battezzati si sentano discepoli missionari, trasmettitori
della lieta notizia di cui ogni uomo ha diritto: quello di sentirsi
amato da Dio, avvolto dal suo amore di Padre.
Chi
si impegna in opere di volontariato generalmente è una persona che
ha sperimentato di essere amata, così che il bene ricevuto può
trasformarsi, a sua volta, in un bene donato. La Caritas ha compiti
educativi, non è una supplenza allo Stato che ha rinunciato al
dovere dell’accoglienza. La Caritas è uno strumento privilegiato a
servizio dell’evangelizzazione. Ecco perché, assieme ai volontari,
vogliamo sempre coinvolgere le nostre parrocchie, i movimenti, le
associazioni, i gruppi, i membri della vita consacrata, che ringrazio
ed ammiro per il loro impegno attivo e costante. Essi non possono,
neanche in futuro, distogliere lo sguardo dalle reali povertà.
Perché
è dal modo con cui noi accogliamo e serviamo i nostri fratelli che
risulta la nostra presentazione dell’immagine del Dio di Gesù
Cristo, che si è fatto povero e debole per arricchirci con la sua
povertà.
Omelia
di Mons. Vescovo Valerio Lazzeri in occasione dell’incontro
interdiocesano
La solidarietà attraversa i confini
Como, Cattedrale di Santa Maria Assunta, 24 febbraio 2019
La solidarietà attraversa i confini
Como, Cattedrale di Santa Maria Assunta, 24 febbraio 2019
Carissimi
amici,
risulta
evidente il nesso tra il Vangelo appena letto e le nostre riflessioni
di oggi. Qui non si parla di un amore qualunque, di un amore
generico, ma di “caritas”, di “agape”, della follia di Dio
nei nostri confronti, “mentre eravamo ancora peccatori”. È
chiaro che abbiamo qui la sorgente di ogni possibile esperienza di
gratuità e, quindi, di ogni nostra ragionevole iniziativa di
accoglienza e di solidarietà concreta verso gli altri.
Vorrei
però concentrarmi su quell’aspetto, delle parole di Gesù
ascoltate oggi, che maggiormente mi sembra appropriato a quanto
abbiamo cercato insieme di mettere a fuoco, attraverso i diversi
contributi di questo pomeriggio.
A
questo proposito, un’osservazione si impone: chiedendoci di amare i
nemici, di fare del bene a quelli che ci odiano, di benedire coloro
che ci maledicono e di pregare per coloro che ci trattano male, Gesù
parla alla nostra libertà. Non ci impone nulla dall’esterno. Non
formula un codice di comportamento a cui sottostare per forza, come a
un obbligo, a una necessità, a un dovere astratto. L’obiettivo
evidente è un altro: è quello di far nascere un movimento
volontario del cuore, una decisione spontanea, uno slancio, percepito
come intimamente conveniente alle più profonde aspirazioni umane,
originarie, iscritte nel nostro essere.
Così
facendo, Gesù non si rivolge all’essere umano dato, all’uomo
istintivo, all’uomo terreno che c’è già, ma all’uomo celeste
che può nascere in ogni momento a partire da Dio. Ci fa capire che
noi, di questa umanità anticipata in Lui, abbiamo il presentimento
nel nostro desiderio più profondo. Nessuno vuole intimamente essere
confuso in una massa anonima di “peccatori”, dal comportamento
interessato e più che prevedibile (“amano quelli che li amano,
fanno del bene a coloro che fanno loro del bene, concedono prestiti
per riceverne altrettanto”). C’è in noi una scintilla che anela
a diventare fuoco, una fiamma che vuole diventare incendio!
“Se
amate quelli che vi amano…, se fate del bene a coloro che fanno del
bene a voi…, se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale
grazia avete” (poia
hymin charis estin).
“Quale grazia” e non semplicemente “quale gratitudine”. Non è
il grazie del beneficato, o di chi ci vede agire bene, che può
motivare ultimamente il nostro agire, renderlo veramente efficace ed
eloquente, bensì la lucentezza, lo splendore, l’irradiazione, che
esso può dare a tutto il nostro essere, a tutta la nostra persona,
portandola a manifestarsi nella sua irriducibile dignità e bellezza.
“Sarete figli dell’Altissimo”, diventerete narrazione sulla
terra di come agisce il Padre verso i suoi figli, gratuitamente,
incondizionatamente, anche verso gli “ingrati e i malvagi”.
Qui
c’è tutta la difficoltà del nostro essere testimoni di Gesù
Cristo nel nostro tempo travagliato e complesso. Siamo chiamati come
cristiani a riflettere nel mondo una qualità singolare e
inconfondibile di sollecitudine per i fratelli e le sorelle in
umanità. Occorre che il nostro operare lasci trasparire l’agire
sconfinato del Padre celeste, la Sua misericordia illimitata e senza
preclusioni verso gli esseri umani.
L’uomo
di terra, l’essere umano che in ciascuno di noi ancora non si è
convertito al Vangelo, si spaventa. Non può capire questo modo di
fare. Gli sembrerà sconsiderato, folle, insensato. Reagirà con la
paura, la chiusura, il rifiuto e l’esclusione. Non vorrà sentir
parlare di dare a chiunque chiede e di non richiedere indietro le
cose date. Si difenderà, tentando di erigere muri, di consolidare
barriere. Cercherà ogni giustificazione per non lasciarsi provocare.
Rifiuterà di lasciarsi destabilizzare da ciò che rende inseparabile
il destino degli altri rispetto al suo.
Non
si tratta però di giudicarlo e tanto meno di condannarlo. Questo
primo Adamo, argilloso, plasmato dal fango, ce lo portiamo tutti
dentro, senza poterlo cambiare con le nostre minacce, con le nostre
forze o la nostra volontà. È possibile però aprirlo all’ascolto
dell’ultimo Adamo, divenuto “spirito datore di vita”. Non a
caso la pagina evangelica si apre con l’invito: “A voi che
ascoltate, io dico: amate i vostri nemici”.
Tutto
ci viene offerto da Dio in Cristo! In Lui, infatti, rimane possibile,
in ogni momento e in ogni situazione, svegliare in ciascuno l’uomo
celeste, l’uomo che viene dal cielo, più concreto e presente alla
storia dell’uomo di terra, ma rinato dall’alto, perché
avvicinato nella maniera giusta, provocato con intelligenza, accolto
da uno sguardo capace di evocare il meglio che nessuno aveva visto in
lui.
Occorre
vigilare su questo, quando si opera come volontari. È una cosa
meravigliosa sentire la gioia di poterci donare, arrivare a mettere a
disposizione il nostro tempo, le nostre risorse, le nostre forze e il
nostro cuore, per rispondere all’appello della povertà,
dell’indigenza, della precarietà, dell’ingiustizia e
dell’esclusione. È motivo di gioia e di rendimento di grazie ogni
sensibilità umana che si lascia interpellare dalle più varie forme
di bisogno altrui. Non si dimentichi, però, la radice autentica e
unica dell’impegno cristiano: riusciamo ad amare anche il non
amabile, solo perché abbiamo fatto l’esperienza del povero
sorpreso dall’amore, inaspettatamente colmato dalla misericordia
del Signore.
A
questo riguardo, affiora un’immagine nascosta nel testo evangelico
di oggi, verso la fine. Viene
in mente un personaggio straordinario dell’Antico Testamento: la
moabita Rut, la donna straniera. In lei l’amore per la suocera
Noemi prevale sui propri interessi, sul proprio tornaconto, sulla
possibilità di tornare alla propria terra. Così, dopo essere stata
a spigolare
nel campo di Booz, facendo quanto stava in lei per dare concretezza
al suo desiderio di aiutare, viene invitata ad aprire il suo mantello
per ricevervi l’offerta generosa.
La stessa immagine fatta balenare da Gesù! “Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo”. È un’indicazione preziosa: solo da poveri potremo essere di aiuto ai poveri! Non avremo mai abbastanza da superare le nostre paure e arrivare senza fatica ad aprirci al bisogno altrui. La nostra speranza di poter sciogliere la morsa che ci paralizza è fondata sulle potenzialità nascoste del nostro cuore. Esso non ha sete soltanto di sicurezza e di garanzie materiali. Aspetta Qualcuno che lo chiami a realizzare veramente il senso della sua nobiltà e dignità, la sua libertà di donarsi e di fare della propria vita, non un grumo opaco di istinti di conservazione, ma un capolavoro di bellezza e di fecondità. Ecco il nostro obiettivo, carissimi amici! Impegnarsi volontariamente non spinge a militare per una causa piuttosto che per un’altra, ma a rivelare con tutto noi stessi l’evento unico, speciale e affascinante, da cui siamo stati cambiati!
Questo
nostro incontro tra due diocesi, separate territorialmente da un
confine nazionale, ma intimamente concordi nella fatica di rispondere
evangelicamente alle grandi sfide del nostro tempo, serva a
intensificare in noi e tra noi la circolazione di questa linfa
vitale, sia fermento di servizio gratuito di chi è più fragile e
vulnerabile, di perseveranza nel leggere insieme la realtà del
nostro tempo. Lo Spirito Santo, mai negato a chi lo invoca con
perseveranza e fiducia, ci rafforzi ogni giorno di più nella
determinazione a fare insieme segno, in maniera chiara e convincente,
a Colui che ha voluto essere, anche di questo nostro tempo confuso e
smarrito, il Signore e il Salvatore.