Vescovo Oscar IV Domenica di Quaresima
Amati fratelli e amate sorelle nel Signore:
In questa Cattedrale, che è la Chiesa madre di tutte le chiese della diocesi, siete oggi tutti riuniti come parte attiva e preziosa di un medesimo corpo attorno a me, vostro vescovo, che ho come compito proprio quello di essere centro di unità della nostra Chiesa.
Come non mai, ci abbraccia la maternità della Chiesa, che si manifesta in tanti gesti di vicinanza quotidiana, di premura, di tenerezza, che le varie comunità cristiane distribuiscono, nei nostri diversi ambienti di vita, come mi attestano in questi giorni molti nostri sacerdoti e laici.
Mi auguro che in questo periodo di sofferenze e di crisi, emerga tra noi, come frutto di una convinzione comune, l'immagine di una Chiesa samaritana, non estranea alle prove degli uomini, ma che, al contrario, inserita dentro le sofferenze dell'umanità, si prende cura delle ferite dei suoi figli, offre a tutti motivi di speranza e condivide la situazione delle famiglie, soprattutto di quelle in pianto per la morte di persone care.
Tanti nostri fratelli e sorelle in questi giorni, deceduti in ospedale, hanno sperimentato il dramma della solitudine, lontano dai propri cari, proprio nel momento in cui avrebbero avuto maggiormente bisogno di una vicinanza amorevole e di un accompagnamento alla morte affidandosi all’amore del Padre e alla dolce presenza di Maria, nostra Madre.
E’ certezza di fede, per noi credenti, riconoscere che Dio, Padre di infinita misericordia, non ci abbandona a noi stessi e sa come trovare le strade più opportune per raggiungere ciascuno dei suoi figli, soprattutto in queste situazioni di estrema solitudine.
Al cuore di ogni sofferenza e di ogni angoscia, la percezione della presenza amorosa di Dio è una consolazione più forte di ogni tentativo di disperazione.
Come discepoli di Gesù ci è donata l’occasione per costruire una Chiesa sempre più compassionevole, che non abbandona i suoi figli e li accompagna. Dio, infatti, entra nelle nostre prove, le soffre con noi e per noi fino alla morte in croce del Figlio e continua a rimanere e a camminare con noi. Il Signore non si è accontentato di aiutarci. Non ci ha soccorso da lontano, ma è venuto a soffrire con noi, è entrato fin dentro la nostra sofferenza, fino alla nostra morte.
Anche noi come Chiesa siamo invitati ad imitare la perfezione di Dio Padre, manifestata proprio attraverso la compassione di Cristo, suo Figlio. A noi il compito di trasmetterlo presente nella sofferenza degli uomini.
Sono numerose le persone che in questi giorni, consapevoli o meno, riflettono il volto del Signore che si china a curare le ferite dei fratelli. Le ricordiamo con gratitudine per la loro dedizione eroica, per la loro generosità, che manifesta come il bene vince e supera ogni misura. Ancora una volta ci convinciamo che è la fraternità, e non l'individualismo, la missione che siamo chiamati a coltivare e a diffondere. “L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dalla appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza” (EG 88)
Vorrei ricordare a quanti sono coinvolti nella celebrazione del nostro Sinodo diocesano che questo tempo di particolare difficoltà non è una semplice sosta forzata, una parentesi da vivere passivamente, ma un tempo fecondo di grazia. Questo tragico evento, a seguito del quale “nulla sarà più come prima”, ci deve aiutare a comprendere, con rinnovata chiarezza, la missione della nostra Chiesa oggi, che è quella di far trasparire nel nostro ambiente la vita trinitaria, anzi di trasfigurare la storia a immagine della SS.Trinità misericordia.
Il Vangelo della scorsa domenica ci ha presentato Gesù come l’acqua viva che dà la vita. Oggi, con il miracolo del cieco nato, Gesù viene qualificato come la luce del mondo, una luce che nessuna tenebra potrà mai soffocare. La missione del Servo del Signore, chiamato ad essere “luce delle nazioni” (Is 49,6), è proprio quella di “aprire gli occhi ai ciechi”, azione messianica per eccellenza. (Sal 146,8; Is 29,18b, ecc).
E’ un povero, cieco fin dalla nascita, che inondato dalla nuova luce offertagli da Gesù, confonde coloro che respingono la luce, ossia i farisei. Illuminato dalla grazia, colui che è stato guarito da Gesù diventa un testimone, sfidando l’opposizione di coloro che, pretendendo di vedere, si rifiutano di lasciarsi salvare da Colui che illumina i cuori.
Il cieco è arrivato alla luce per tappe progressive, così come ogni battezzato che approfondisce il suo cammino di fede, la sua relazione personale con Gesù, a poco a poco, mediante un graduale cammino, accompagnato da una comunità di testimoni, all’interno di luoghi di irradiazione della vita nuova.
Diventare cristiani non è, quindi, apprendere e capire una dottrina, ma “essere trapiantati” in Cristo, mediante il Battesimo, partecipare all’amore e alla vita stessa di Dio.
Possiamo, nel corso di questa settimana, rileggere il testo del Vangelo di Giovanni al cap. IX, per osservare l’evoluzione di questo uomo che giunge gradualmente alla fede.
La sua situazione di partenza è la cecità e la dipendenza, in seguito la fiducia nella parola di uno sconosciuto, che gli spalma il fango sugli occhi e lo invia a lavarsi alla piscina di Siloe. Quindi la gioia di vedere per la prima volta in vita sua. La sua contentezza è però di breve durata: si trova di fronte ai farisei che rifiutano di riconoscere Colui che lo ha guarito, eppure egli lo acclama con decisione, dapprima come “l’uomo che si chiama Gesù”(11), poi “profeta” (17b), quindi “Figlio dell’uomo” (35b), infine, ecco la professione di fede: “Credo, Signore! (36b)”.
Permettiamo anche alla nostra fede di evolvere, proprio a partire dalla crisi che stiamo attraversando. Soprattutto in questi giorni anche noi potremmo essere tentati proprio a riguardo della fede: tutti sperimentiamo momenti di fatica e di incomprensione, poichè non sappiamo dare una spiegazione immediata a ciò che succede e ci coinvolge, non riusciamo a comprendere ciò che il Signore vuol dirci. Il Signore tuttavia ci mette sempre accanto delle persone amiche che pregano con noi e per noi, stimolando la nostra debole fede. Ci confermano che il Signore è con noi, anche quando tutto è buio, perché Egli è fedele e continua a contare su di noi.
Con il Battesimo, il Signore Gesù ci ha offerto la luce della vita.
In questi giorni, in cui siamo privi di segni liturgici comunitari, come la celebrazione dell’Eucaristia, offriamo a Dio Padre il nostro servizio di lode mediante un comportamento ordinario, svolto però all’insegna della schietta carità. Abbiamo la possibilità di coltivare relazioni più fraterne e solidali, aiutare persone in isolamento, riscoprire rapporti condominiali, da vivere con rinnovata attenzione, superando situazioni di anonimato.
E’ il modo concreto ed efficace per esercitare il nostro sacerdozio battesimale, che ci accomuna e ci rende partecipi della liturgia del cielo.