Sabato Santo
PREGHIERA
Signore Gesù Cristo, nell’oscurità
della morte Tu hai fatto luce; nell’abisso della solitudine
più profonda abita ormai per sempre la protezione potente del Tuo
amore; in mezzo al Tuo nascondimento possiamo ormai cantare
l’alleluia dei salvati.
Concedici l’umile semplicità
della fede, che non si lascia fuorviare quando Tu ci chiami nelle ore del
buio, dell’abbandono, quando tutto sembra apparire problematico;
concedici, in questo tempo nel quale attorno a Te si combatte una lotta
mortale, luce sufficiente per non perderti; luce sufficiente perché
noi possiamo darne a quanti ne hanno ancora più bisogno.
Fai
brillare il mistero della Tua gioia pasquale, come aurora del mattino, nei
nostri giorni; concedici di poter essere veramente uomini pasquali in mezzo
al Sabato santo della storia. Concedici che attraverso i giorni luminosi e
oscuri di questo tempo possiamo sempre con animo lieto trovarci in cammino
verso la Tua gloria futura.
Amen.
Cari amici,
questo è per me un momento molto atteso.
In diverse altre occasioni mi sono trovato davanti alla sacra Sindone,
ma questa volta vivo questo pellegrinaggio e questa sosta con
particolare intensità: forse perché il passare degli anni mi rende
ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria Icona; forse, e
direi soprattutto, perché sono qui come Successore di Pietro, e porto
nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi, tutta l’umanità. Ringrazio Dio per
il dono di questo pellegrinaggio, e anche per l’opportunità di
condividere con voi una breve meditazione, che mi è stata suggerita dal
sottotitolo di questa solenne Ostensione: “Il mistero del Sabato Santo”.
Si può dire che la Sindone sia l’Icona di questo mistero, l’Icona del Sabato Santo. Infatti
essa è un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo
crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù,
il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del
pomeriggio. Venuta la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del
sabato solenne di Pasqua, Giuseppe d’Arimatea, un ricco e autorevole
membro del Sinedrio, chiese coraggiosamente a Ponzio Pilato di poter
seppellire Gesù nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella
roccia a poca distanza dal Golgota. Ottenuto il permesso, comprò un
lenzuolo e, deposto il corpo di Gesù dalla croce, lo avvolse con quel
lenzuolo e lo mise in quella tomba (cfr Mc 15,42-46). Così riferisce il
Vangelo di san Marco, e con lui concordano gli altri Evangelisti. Da
quel momento, Gesù rimase nel sepolcro fino all’alba del giorno dopo il
sabato, e la Sindone di Torino ci offre l’immagine di com’era il suo
corpo disteso nella tomba durante quel tempo, che fu breve
cronologicamente (circa un giorno e mezzo), ma fu immenso, infinito nel
suo valore e nel suo significato.
Il Sabato Santo è il giorno del
nascondimento di Dio, come si legge in un’antica Omelia: “Che cosa è
avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e
solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme … Dio è morto nella carne
ed è sceso a scuotere il regno degli inferi” (Omelia sul Sabato Santo,
PG 43, 439). Nel Credo, noi professiamo che Gesù Cristo “fu crocifisso
sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese agli inferi, e il terzo
giorno risuscitò da morte”.
Cari fratelli e sorelle, nel nostro
tempo, specialmente dopo aver attraversato il secolo scorso, l’umanità è
diventata particolarmente sensibile al mistero del Sabato Santo. Il
nascondimento di Dio fa parte della spiritualità dell’uomo
contemporaneo, in maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto
nel cuore che è andato allargandosi sempre di più. Sul finire
dell’Ottocento, Nietzsche scriveva: “Dio è morto! E noi l’abbiamo
ucciso!”. Questa celebre espressione, a ben vedere, è presa quasi alla
lettera dalla tradizione cristiana, spesso la ripetiamo nella Via
Crucis, forse senza renderci pienamente conto di ciò che diciamo. Dopo
le due guerre mondiali, i lager e i gulag, Hiroshima e Nagasaki, la
nostra epoca è diventata in misura sempre maggiore un Sabato Santo:
l’oscurità di questo giorno interpella tutti coloro che si interrogano
sulla vita, in modo particolare interpella noi credenti. Anche noi
abbiamo a che fare con questa oscurità.
E tuttavia la morte del Figlio di
Dio, di Gesù di Nazaret ha un aspetto opposto, totalmente positivo,
fonte di consolazione e di speranza. E questo mi fa pensare al fatto che
la sacra Sindone si comporta come un documento “fotografico”, dotato di
un “positivo” e di un “negativo”. E in effetti è proprio così:
il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più
luminoso di una speranza che non ha confini. Il Sabato Santo è
la “terra di nessuno” tra la morte e la risurrezione, ma in questa
“terra di nessuno” è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i
segni della sua Passione per l’uomo: “Passio Christi. Passio hominis”.
E la Sindone ci parla esattamente di quel momento, sta a testimoniare
precisamente quell’intervallo unico e irripetibile nella storia
dell’umanità e dell’universo, in cui Dio, in Gesù Cristo, ha condiviso
non solo il nostro morire, ma anche il nostro rimanere nella morte. La
solidarietà più radicale.
In quel “tempo-oltre-il-tempo” Gesù
Cristo è “disceso agli inferi”. Che cosa significa questa espressione?
Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare
nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun
raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di
conforto: “gli inferi”. Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha
oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi
ad oltrepassarla con Lui. Tutti abbiamo sentito qualche volta una
sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più
paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli
nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può
rassicurare. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno
della morte è risuonata la voce di Dio. E’ successo l’impensabile: che
cioè l’Amore è penetrato “negli inferi”: anche nel buio estremo della
solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci
chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere
umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio
della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita.
Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli: “Passio Christi.
Passio hominis”.
Questo è il mistero del Sabato Santo!
Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la
luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione. Ed ecco, mi
sembra che guardando questo sacro Telo con gli occhi della fede si
percepisca qualcosa di questa luce. In effetti, la Sindone è stata
immersa in quel buio profondo, ma è al tempo stesso luminosa; e io penso
che se migliaia e migliaia di persone vengono a venerarla – senza
contare quanti la contemplano mediante le immagini – è perché in essa
non vedono solo il buio, ma anche la luce; non tanto la sconfitta della
vita e dell’amore, ma piuttosto la vittoria, la vittoria della vita
sulla morte, dell’amore sull’odio; vedono sì la morte di Gesù, ma
intravedono la sua Risurrezione; in seno alla morte pulsa ora la vita,
in quanto vi inabita l’amore.
Questo è il potere della Sindone: dal
volto di questo “Uomo dei dolori”, che porta su di sé la passione
dell’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, anche le nostre passioni, le
nostre sofferenze, le nostre difficoltà, i nostri peccati – “Passio
Christi. Passio hominis” -, da questo volto promana una solenne maestà,
una signoria paradossale. Questo volto, queste mani e questi
piedi, questo costato, tutto questo corpo parla, è esso stesso una
parola che possiamo ascoltare nel silenzio. Come parla la Sindone? Parla
con il sangue, e il sangue è la vita! La Sindone è un’Icona scritta col
sangue; sangue di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso e
ferito al costato destro. L’immagine impressa sulla Sindone è
quella di un morto, ma il sangue parla della sua vita. Ogni traccia di
sangue parla di amore e di vita. Specialmente quella macchia abbondante
vicina al costato, fatta di sangue ed acqua usciti copiosamente da una
grande ferita procurata da un colpo di lancia romana, quel sangue e
quell’acqua parlano di vita. E’ come una sorgente che mormora nel
silenzio, e noi possiamo sentirla, possiamo ascoltarla, nel silenzio del
Sabato Santo.
Cari amici, lodiamo sempre il Signore per
il suo amore fedele e misericordioso. Partendo da questo luogo santo,
portiamo negli occhi l’immagine della Sindone, portiamo nel cuore questa
parola d’amore, e lodiamo Dio con una vita piena di fede, di speranza e
di carità. Grazie.
Benedeto XVI
Venerazione Sacra Sindone
2 Maggio 2010