Chiesa di Como, riparti con audacia!
Chiesa di Como, riparti con audacia!
31 agosto 2020
Cattedrale di Como
Cari Fratelli e Sorelle, amati dal Signore: “Pace a voi!”
Con questa espressione il Cristo Risorto si è presentato senza preavviso ai suoi Apostoli, riuniti a porte chiuse nel cenacolo di Gerusalemme in “auto isolamento”, liberandoli dalla paura. Lo stesso augurio efficace, attraverso di me, il Signore rivolge oggi a tutta la nostra Comunità diocesana. Essa è ancora intimorita dalla esperienza traumatizzante del corona virus, alla ricerca di nuove strade pastorali da adottare per essere una presenza fraterna, viva e feconda, nei confronti di tutte le persone delle nostre Comunità parrocchiali. Una presenza, però, che va al di là dei loro stessi confini, in pieno dialogo con tutti, anche con quelle persone che sono ai margini o che apparentemente sembrano estranee al primato di Dio nella loro vita.
Il nostro santo Patrono, il vescovo Abbondio (450-489), che ha sostenuto con forza e difeso davanti a tutti il mistero della incarnazione di Cristo, vero figlio di Dio, nella pienezza della sua umanità, intercede per noi, perché sappiamo incontrare il Signore proprio oggi, all’interno della non facile realtà che stiamo attraversando e riconoscerlo vivo e all’opera in questo nostro tempo.
Certo, noi stiamo sperimentando ancora un periodo di provvisorietà e di grande incertezza. Il Covid-19 continua a colpire e non sappiamo prevedere i possibili futuri sviluppi.
Facciamo fatica a riprendere il cammino pastorale e a discernere le strade più opportune da proporre alle nostre comunità e alle diverse categorie di persone, anche se nel tempo del lockdown abbiamo fatto di tutto perché le persone avvertissero la nostra vicinanza sollecita. Per questo generoso impegno, non possiamo ora lasciarci prendere dallo scoraggiamento, né accettarci come sconfitti: sarebbe una contro testimonianza che non ci rende credibili.
Il Signore Risorto da morte con la sua umanità ha manifestato la sua presenza attiva lungo i secoli passati e dentro le varie precarietà della condizione umana. Nonostante gli sconvolgimenti della storia, ha sempre guidato mirabilmente la sua Chiesa perché in ogni condizione potesse far risuonare a tutti la forza trasformante del Vangelo. Tutto questo a partire dalle situazioni problematiche in cui l’umanità si trovava nelle diverse epoche, nonostante quindi le epidemie, gli sconvolgimenti naturali, le guerre, le varie persecuzioni.
Il nostro primo impegno, quindi, è quello di riconoscerci chiamati a scoprire nella fede il messaggio che Dio ha voluto inviarci proprio nel nostro tempo del corona virus, dentro la nostra situazione personale ed ecclesiale.
Il Signore vuole aprirci gli occhi per indurci a trovare insieme nuove strade di evangelizzazione dentro i contesti inusuali che si sono creati in questi mesi e che soprattutto ci attendono per l’avvenire. “Abbiamo bisogno di capire cosa Dio ci sta dicendo in questi tempi di pandemia: una sfida anche per la missione della Chiesa”, ci ha suggerito papa Francesco. è una grande sfida, certo, che ci provoca, ma anche che ci appassiona, un impegno che coinvolge l’intera comunità cristiana per dare una risposta creativa, attraverso un discernimento comune, a cui siamo già stati chiamati come primo passo del nostro cammino di Chiesa, in questo difficile momento che attraversiamo.
Non limitiamoci, tuttavia, a offrire una interpretazione sociologica della situazione attuale, che ci è già offerta dagli specialisti del settore. A noi, come Chiesa, è richiesto il compito di offrire una lettura teologica, con nuove proposte pastorali, come frutto della nostra fedeltà a Dio e insieme all’uomo di oggi. Ce lo impone il servizio che come Chiesa il mondo si attende da noi, chiamati ad esercitare il ministero della consolazione e della speranza, ma anche capaci di presenza profetica sul territorio. Anche i nostri Uffici pastorali diocesani suggeriranno nei prossimi mesi varie iniziative per favorire una lettura sapienziale di quanto vissuto, a partire dalla Parola di Dio e dalle varie esperienze pastorali sperimentate in questo tempo.
Non è vero che oggi l’uomo non è più sensibile alle domande di senso, perché irresistibilmente scaturiscono da ogni cuore umano, al momento opportuno. L’uomo di oggi mantiene una insopprimibile nostalgia di Dio, ha fame di Dio, anche se lo ammette solo a fatica e in certe particolari circostanze. Spesso la ricerca di Dio avviene attraverso vie differenti dalle nostre, ma che noi dobbiamo riconoscere e promuovere.
Ogni uomo è mosso dal desiderio di pienezza e di felicità, dal bisogno di interpretare i gesti umani, quali l’amore, il dolore, come anche il nascere, il vivere, il soffrire, il condividere con gli altri, il morire.
Il nostro disagio sta nell’avvertire che tutto questo non si avvia, spesse volte, né si sviluppa, attraverso le nostre programmazioni o solo nei tempi e nei modi fissati da noi. Oggi il cammino di fede si sviluppa a partire spesso da circostanze inedite, non programmabili, dal grido espresso dalle persone in ricerca, dai giovani in particolare.
Come Chiesa, con tanta delicatezza, dobbiamo saper avvicinare i giovani, ascoltarli nel profondo e aiutarli nella loro ricerca di Dio, senza forzature e con molta discrezione, nonostante i linguaggi e le loro mentalità siano molto differenti dai nostri. Il Signore continua a bussare al cuore dei giovani, al di là delle nostre previsioni. Essi hanno bisogno di una adeguata accoglienza per essere aiutati a prepararsi alle future responsabilità della vita.
Riuscirà la nostra Chiesa a porsi in stato di vero ascolto? Saprà accogliere l’uomo in ricerca e condividere le ferite, le gioie, le aspirazioni, i fallimenti degli uomini di oggi, alla luce del primato di Dio e della sua misericordia?
Sarà la nostra Chiesa capace di cercare l’uomo, di accoglierlo senza giudicarlo, come un padre sa abbracciare suo figlio, piagato dalle molte ferite che ha ricevuto? Riusciremo a fare della carità una costante della vita di tutti i giorni, facendoci carico di quanti (e sono molti!), stranieri e italiani, vivono sotto la soglia di povertà?
Ripartire da Dio significa proprio questo. Credere che Dio padre, che ama immensamente l’uomo, riconosciuto come suo figlio, è fedele e con la luce e la forza dello Spirito santo ci permette di scoprire nelle parole di Gesù Cristo, le linee interpretative non solo per leggere la situazione attuale, ma anche per aiutare le persone, a cominciare dai cristiani, a promuovere nel futuro nuovi stili di vita, fondati sull’amore reciproco, sulla solidarietà, nella condivisione di una vita fraterna, segni di una umanità nuova.
Nel tempo del lockdown sono emersi tanti segni ricchi di piena umanità che forse non ci saremmo aspettati. Ci siamo meravigliati e abbiamo accolto con sorpresa gli atteggiamenti di vera grandezza, sgorgati dalle scelte generose dei cristiani e non.
Negli ospedali e nelle case di riposo si sono moltiplicati tanti gesti di rara umanità. Medici e infermieri disposti ad accompagnare con delicatezza i malati e i moribondi, portando loro, oltre il servizio medico specialistico, anche il conforto religioso.
Si sono sviluppati tanti gesti di vicinanza e di solidarietà con le persone anziane, con quanti vivono in solitudine, con i poveri e i senza tetto, a partire anche da molti volontari, disposti a prendersene cura.
Pur con le chiese chiuse, abbiamo ravvivato il bisogno di sentirci vicini con quelli della nostra Comunità, di vivere la Santa Messa non come un momento privato, soli con Dio, ma come espressione di un popolo radunato dal Signore risorto.
Abbiamo constatato come certi genitori cristiani hanno saputo esercitare il loro “ministero sponsale” nella loro casa, con la preghiera quotidiana, condivisa con i propri figli. O come li hanno seguiti personalmente nella preparazione ai Sacramenti della iniziazione cristiana. è una via da percorrere nel futuro con assoluta priorità, mentre non possiamo che sottolineare la necessità di una speciale cura, accompagnamento e sostegno delle famiglie d’oggi, avvalendoci anche di operatori laici, che vivono il loro servizio come vocazione.
La strada è ancora in salita, ma al di là di quanti annunciano tempi nefasti, possiamo riconoscere tanti segni di primavera, in una Chiesa che, realisticamente, è diventata più piccola e più povera, anche per il ridotto numero dei frequentanti. Essa si presenta, tuttavia, come un umile fermento che anticipa un mondo rinnovato, più bello, meno ricco, ma con maggiori gesti di condivisione e di relazioni fraterne, segni di novità evangelica. Una Chiesa chiamata ad essere lievito sul territorio, capace di nuove presenze ministeriali, in piena sintonia tra le parrocchie vicine.
Ripartire da Dio significa anche ammirare la sua fedeltà per le risposte generose che Egli continuamente suscita tra il suo popolo. Quest’anno due nostri fratelli saranno proclamati Beati dalla Chiesa, che si conferma in questo modo madre feconda di innumerevoli figli chiamati a percorrere la via ordinaria della santità. Si tratta, come già sapete, di suor Maria Laura Mainetti (il prossimo 6 giugno 2021) e padre Giuseppe Ambrosoli (nel mese di novembre 2021).
Entrambi sono figli della nostra Chiesa di Como, espressione della sua vitalità, della vita nuova che essa propone a quanti si lasciano docilmente condurre e si affidano alla sue cure materne. Come non intravedere in suor Maria Laura e in padre Giuseppe una espressione manifesta della misericordia di Dio, di cui essi sono testimoni e annunciatori?
Mentre lodiamo il Signore per questi nostri nuovi Beati, disponiamoci a seguire la loro testimonianza esemplare, a servizio degli ultimi e dei piccoli, dei senza tetto, dei meno vantaggiati e di quanti hanno bisogno di cure.
Va riconosciuto umilmente che il nostro Sinodo, nel tempo del lockdown, ha vissuto non un blocco, come qualcuno sarebbe tentato di credere, ma un segnale forte e stimolante per un ulteriore avanzamento secondo i criteri di Dio.
Attraverso la testimonianza luminosa dei nostri due nuovi Beati, che non a caso, proprio in questa ora precisa il Signore ci dona, ci viene offerto un modello e un criterio di giudizio da cui ripartire con coraggio e freschezza, mediante ulteriori segni, anche costosi e controcorrente, perché profetici, dentro i quali coinvolgerci personalmente e come comunità. Tenendo fisso lo sguardo su questi nostri Beati, la nostra attuale comunità cristiana, coinvolta nel Sinodo, quale evento di grazia da non sottovalutare, non si limiterà ad esprimere un messaggio dottrinale sulla misericordia di Dio, ma evidenzierà atteggiamenti e gesti credibili, perché vissuti e pagati con il sangue da questi nostri fratelli, quali espressione di quella novità evangelica che, come Chiesa, vogliamo manifestare.
Cari fratelli e sorelle, questa è l’ora della radicalità evangelica! Non lasciamo che Dio abbia parlato invano in questo periodo, come se nulla fosse successo e non permettiamo a noi stessi di ritornare come ai tempi di prima. Chiediamo piuttosto al nostro santo Patrono, il vescovo Abbondio, un nuovo ardore apostolico. Egli interceda per noi presso il Padre, perché ci conceda quella santa audacia, che è segno di una vera e feconda vita nuova nello Spirito.
Vescovo Oscar