Vescovo Oscar - omelia funerale don Roberto Malgesini

 

 


 

Si riporta il testo dell’omelia pronunciata da Mons. Oscar Cantoni, Vescovo di Como, alle esequie di don Roberto celebrate venerdì 18 settembre a Regoledo di Cosio.

Sap 3,1-9; 1Gv 4, 7-16; Mt 25, 31-46

Cari fratelli e sorelle amati dal Signore:

ci accoglie Cristo Signore, crocifisso e risorto da morte, che vittorioso, rinnova e attualizza per noi la sua Pasqua, ossia ci offre la sua vita immortale.

In questo modo risplende per noi la vittoria della vita sulla morte, della luce sulle tenebre, siamo resi partecipi del trionfo del bene sul male, sperimentiamo così la pienezza dell’amore che vince ogni iniquità umana.

Per la risurrezione del Signore noi crediamo che anche l’anima di don Roberto, uomo giusto e mite, è nelle mani di Dio e se anche la sua fine è ritenuta una sciagura, egli vive nella pace, martire della misericordia.

Celebrare l’Eucaristia significa per tutti noi innestarci nello stesso movimento d’amore sacrificale di Gesù, per far trasparire la sua forza redentrice dentro le scelte che compiamo. Noi tutti sappiamo quanto sia costoso accettare di vivere pienamente nel dono di noi stessi, amando sino alla fine, come Gesù. Saremmo tentati di credere che la nostra vita vale per la lunghezza degli anni o per le opere che riusciamo a realizzare, ma essa è feconda solo nella misura in cui è donata. Si tratta di infondere amore, giorno per giorno, con semplicità evangelica, andando oltre l’egoismo, che ci rinchiude in noi stessi e non ci fa vedere le necessità e le sofferenze degli altri.

Proprio qui a Regoledo di Cosio, nella sua famiglia e in questa comunità cristiana, don Roberto ha compiuto i primi passi per imparare la faticosa arte del dono di sé. Ha incominciato ad apprendere, dal vivo esempio dei suoi genitori e di quanti gli sono stati vicini, la capacità di diventare puro pane spezzato, che sazia la fame altrui, come Gesù.

Ogni giorno sperimentiamo, infatti, attorno a noi una grande fame d’amore, che domanda accoglienza, che auspica condivisione fraterna, che ricerca solidarietà, che chiede e offre perdono, che esige di prendersi cura di ciascuna persona come se fosse l’unica. Proprio a servizio di queste fami, don Roberto avrebbe manifestato in seguito la sua capacità d’amare.


 

Per fare un uomo ci vuole un villaggio“, ci ricorda un proverbio africano. Per diventare un cristiano adulto nella fede è indispensabile una comunità cristiana, una famiglia, innanzitutto, che insegni e testimoni la legge dell’amore e del dono di sé agli altri.

Nello stesso tempo, c’è bisogno di una comunità cristiana “famiglia di famiglie”, capace di autentici gesti di solidarietà e di amicizia sincera.

In questa comunità parrocchiale di Regoledo di Cosio, don Roberto è stato generato alla fede attraverso il Battesimo, ossia ha cominciato fin da piccolo a sperimentare che “l’amore è da Dio”. Il Battesimo è, infatti, il dono attraverso cui noi riconosciamo e crediamo all’amore che Dio ha per noi.

Qui tra voi don Roberto ha imparato a rendere testimonianza a Cristo, servo dei suoi fratelli in umanità, mediante il dono dello Spirito Santo nella Cresima. Ricevendo l’Eucaristia ha compreso che se Dio ci ha amato, anche noi, a nostra volta, dobbiamo amarci gli uni gli altri. L’Eucaristia esige, infatti, una vita che testimonia una piena comunione con i fratelli.

In seguito, anche a causa del buon terreno di questa Comunità, che nel tempo ha dato alla Chiesa diversi sacerdoti, missionari, religiosi e religiose e altre persone consacrate, don Roberto ha sviluppato quelle condizioni necessarie e indispensabili per diventare ministro del Vangelo, discepolo di Cristo, pastore secondo il suo cuore. Lo ricordo negli anni della sua formazione presbiterale con quanta passione e gioia coltivava una amicizia intima con il Signore Gesù, premessa indispensabile per divenire discepoli.  Nello stesso tempo ammiravo con quanta affabilità condivideva la vita dei suoi compagni, con i quali ha tessuto rapporti autentici di sincera e schietta amicizia fraterna nel Signore. Una dimensione che poi in seguito don Roberto ha saputo coltivare, sostenendo discretamente altri sacerdoti in difficoltà.

 

 

Ordinato presbitero nel 1998, ha seminato tanto bene nelle due Comunità a cui è stato inviato e che tutti gli riconoscono: a Gravedona prima, a Lipomo, poi. Ma intanto, proprio in quegli anni, don Roberto si è sentito chiamato a sviluppare un dono che si sarebbe chiarito progressivamente e che ha coltivato come “una vocazione nella vocazione”: quella di condividere, a tempo pieno, in città di Como, la vita dei più poveri, dei senza dimora, dei profughi.

Ha scelto allora, col consenso e in comunione col vescovo, di prendersi cura degli ultimi, singolarmente presi, di accettare anche le loro fragilità, offrendo in cambio accoglienza piena e amorevolezza, con una delicata “attenzione d’amore” ai singoli, subito attratti dalla sua singolare disponibilità ad accogliere tutti con gratuità e senza giudizio.

Possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che don Roberto aveva preso sul serio le parole del Signore riportate nel vangelo che è stato proclamato: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. E papa Francesco ha sottolineato, a commento di questo passo evangelico, che “Siamo chiamati a scoprire Cristo nei poveri, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro” (EG 198).

Queste affermazioni di Francesco sono la chiave per comprendere e gustare lo stile dell’azione pastorale di don Roberto.

In questi giorni, la nostra Comunità cristiana, ma anche l’intera nostra società, pur attonita e sconvolta per la tragedia subìta, riscopre questo straordinario messaggio d’amore, che don Roberto ha incarnato con disarmante semplicità e che egli rimanda a noi perché sia diffuso e moltiplicato.

A noi tutti, dunque, il compito di proseguire con l’affabilità e la tenerezza di don Roberto nei confronti dei bisognosi, dei poveri in particolare, riconosciuti e accolti come la vera “carne di Cristo”.

Una nuova primavera di grazie ci prepara il Signore attraverso il martirio di don Roberto: non sciupiamo questa straordinaria, immeritata occasione e… ciascuno faccia la sua parte!


 

Vescovo Oscar - Santo Rosario per don Roberto Malgesini

Abbiamo pregato Maria, madre di Cristo e dei suoi discepoli, nel giorno in cui la Chiesa universale la venera come madre addolorata.

Non è un caso se, proprio in questo giorno, il nostro don Roberto è passato da questo mondo al Padre, a causa di un gesto inconsulto di uno squilibrato.

La vergine madre, Maria, lo ha preso oggi tra le sue braccia, come già fece con il suo figlio Gesù, staccato dalla croce. Ha offerto don Roberto al Padre quale immagine reale di ogni sacerdote conformato al Figlio suo, dispensatore della misericordia di Dio.

Anche la madre Chiesa che è in Como, accoglie tra le sue braccia il nostro don Roberto, insieme a noi, traumatizzati per la sua morte, ma fermi nella consolazione di Dio.

Abbiamo tra noi un nuovo “martire della carità”, a volte incompreso, come già nel 1999 don Renzo Beretta, un altro prete che si è donato con larghezza a Cristo riconoscendolo nei poveri e accomunato alla stessa sorte di don Roberto.

Come Maria, che il vangelo di Giovanni presenta mentre “stava presso la croce di Gesù”, cosi don Roberto non è scappato davanti alle tante croci dei fratelli, non ha fatto grossi discorsi suoi poveri, non li ha distinti tra buoni e meno buoni, tra i nostri o gli stranieri, tra cristiani o di altre confessioni, ma si è prodigato con amore in totale umiltà, senza clamore e senza riconoscimenti di sorta. Amava agire in sordina, quasi di nascosto, in piena discrezione.

Ricordo don Roberto come un prete felice. Felice di amare Gesù servendolo nei poveri, nei profughi, nei senza tetto, nei carcerati, nelle prostitute.

Nei poveri riconosceva “la carne viva” di Cristo, a cui si era donato attraverso uno speciale ministero che potremmo definire “di carità spicciola”, indirizzato alle persone singolarmente prese, a cui offriva tempo, energie, delicate attenzioni e premure, soprattutto un grande cuore.

I comaschi, quelli almeno che preferiscono gli occhi alle orecchie, ossia che riconoscono chi agisce concretamente, piuttosto di chi lancia proclami vuoti, nutrivano per lui una garbata ammirazione e non hanno mancato di riconoscere in lui un pastore degno di stima e di affetto. Mi stupiva quando, camminando con lui in città di Como, molti comaschi lo salutavano con simpatia.

Questa sera Lo piangono anche i tanti suoi assistiti, di nazionalità, culture, religioni diverse. Nutrivano un grande rispetto e una profonda riconoscenza per lui, che classificavano facilmente come un padre, che aveva sempre tempo per ciascuno di loro.

 

 

Nei giorni scorsi ho additato suor Maria Laura Mainetti e padre Giuseppe Ambrosoli, i nostri due prossimi beati, come vite esemplari di discepoli, testimoni della misericordia di Dio. Oggi se ne aggiunge un altro, non meno valido e di estrema attualità, don Roberto.

Egli riflette, dentro il clima disumano che in questo periodo spesso respiriamo, il segno vivo della tenerezza di Dio padre, che vuole fare della Chiesa del suo Figlio un ambiente di misericordia, dei figli della Chiesa degli umili suoi banditori e del mondo un luogo dove tutti si riconoscono fratelli.

I giovani, che sono alla ricerca di testimoni veri ed autentici di piena umanità e che esigono dalla comunità cristiana figure presbiterali di autentico riferimento, hanno trovato in don Roberto una immagine di prete bella, schietta e serena, quella in cui possono identificare al meglio la nostra Chiesa e con lei impegnarsi a servizio di Cristo e dei fratelli.

È sempre valida e attuale l’affermazione di Tertulliano, un autore africano del secondo secolo, che ci ricorda come “il sangue dei martiri sia seme di nuovi cristiani”. Mentre san Luigi Guanella, nostro diocesano, diceva che “patimenti straordinari, grazie straordinarie”.

Possa il sacrificio di don Roberto contribuire a promuovere quella cultura della misericordia che è lo scopo fondamentale del Sinodo che stiamo celebrando. Don Roberto dia nuovo impulso al nostro Presbiterio e a me stesso per poter ripartire con rinnovata forza d’animo e nuovo slancio pastorale con lo stesso gusto di carità che ha contraddistinto il suo ministero tra noi.

 

 


Desidero ricordare don Roberto Malgesini, il sacerdote della Diocesi di Como che è stato ucciso da una persona bisognosa che lui stesso aiutava...

Mi unisco al dolore e alla preghiera dei suoi familiari e della comunità comasca e, come ha detto il suo Vescovo, rendo lode a Dio per la testimonianza, cioè per il martirio, di questo testimone della carità verso i più poveri.

Preghiamo per don Roberto Malgesini e per tutti i preti, suore, laici, laiche che lavorano con le persone bisognose e scartate dalla società.

Papa Francesco

 

 

 




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