San Francesco
San Francesco d'Assisi
Cari fratelli e sorelle,
in una recente catechesi, ho già illustrato il ruolo provvidenziale che l’Ordine dei Frati Minori e l’Ordine dei Frati Predicatori, fondati rispettivamente da san Francesco d’Assisi e da san Domenico da Guzman, ebbero nel rinnovamento della Chiesa del loro tempo. Oggi vorrei presentarvi la figura di Francesco, un autentico “gigante” della santità, che continua ad affascinare moltissime persone di ogni età e di ogni religione.
“Nacque al mondo un sole”. Con queste parole, nella Divina Commedia (Paradiso, Canto XI), il sommo poeta italiano Dante Alighieri allude alla nascita di Francesco, avvenuta alla fine del 1181 o agli inizi del 1182, ad Assisi. Appartenente a una ricca famiglia – il padre era commerciante di stoffe –, Francesco trascorse un’adolescenza e una giovinezza spensierate, coltivando gli ideali cavallereschi del tempo. A vent’anni prese parte ad una campagna militare, e fu fatto prigioniero. Si ammalò e fu liberato. Dopo il ritorno ad Assisi, cominciò in lui un lento processo di conversione spirituale, che lo portò ad abbandonare gradualmente lo stile di vita mondano, che aveva praticato fino ad allora. Risalgono a questo periodo i celebri episodi dell’incontro con il lebbroso, a cui Francesco, sceso da cavallo, donò il bacio della pace, e del messaggio del Crocifisso nella chiesetta di San Damiano. Per tre volte il Cristo in croce si animò, e gli disse: “Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina”. Questo semplice avvenimento della parola del Signore udita nella chiesa di S. Damiano nasconde un simbolismo profondo. Immediatamente san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta, ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco zelante, con il raffreddarsi dell’amore; una distruzione interiore della Chiesa che comporta anche una decomposizione dell’unità, con la nascita di movimenti ereticali. Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo. Questo avvenimento, accaduto probabilmente nel 1205, fa pensare ad un altro avvenimento simile verificatosi nel 1207: il sogno del Papa Innocenzo III. Questi vede in sogno che la Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella con le sue spalle la chiesa affinché non cada. E’ interessante notare, da una parte, che non è il Papa che dà l’aiuto affinché la chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante religioso, che il Papa riconosce in Francesco che Gli fa visita. Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio. Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con lui. Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo momento per rinnovare la Chiesa. Insieme cresce il vero rinnovamento.
Ritorniamo alla vita di san Francesco. Poiché il padre Bernardone gli rimproverava troppa generosità verso i poveri, Francesco, dinanzi al Vescovo di Assisi, con un gesto simbolico si spogliò dei suoi abiti, intendendo così rinunciare all’eredità paterna: come nel momento della creazione, Francesco non ha niente, ma solo la vita che gli ha donato Dio, alle cui mani egli si consegna. Poi visse come un eremita, fino a quando, nel 1208, ebbe luogo un altro avvenimento fondamentale nell’itinerario della sua conversione. Ascoltando un brano del Vangelo di Matteo – il discorso di Gesù agli apostoli inviati in missione –, Francesco si sentì chiamato a vivere nella povertà e a dedicarsi alla predicazione. Altri compagni si associarono a lui, e nel 1209 si recò a Roma, per sottoporre al Papa Innocenzo III il progetto di una nuova forma di vita cristiana. Ricevette un’accoglienza paterna da quel grande Pontefice, che, illuminato dal Signore, intuì l’origine divina del movimento suscitato da Francesco. Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica. Nella vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito Santo.
In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità. E’ anche vero che inizialmente non aveva l’intenzione di creare un Ordine con le forme canoniche necessarie, ma, semplicemente, con la parola di Dio e la presenza del Signore, egli voleva rinnovare il popolo di Dio, convocarlo di nuovo all’ascolto della parola e all’obbedienza verbale con Cristo. Inoltre, sapeva che Cristo non è mai “mio”, ma è sempre “nostro”, che il Cristo non posso averlo “io” e ricostruire “io” contro la Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione della Chiesa costruita sulla successione degli Apostoli si rinnova anche l’obbedienza alla parola di Dio.
E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i Vescovi. Sapeva sempre che il centro della Chiesa è l'Eucaristia, dove il Corpo di Cristo e il suo Sangue diventano presenti. Tramite il Sacerdozio, l'Eucaristia è la Chiesa. Dove Sacerdozio e Cristo e comunione della Chiesa vanno insieme, solo qui abita anche la parola di Dio. Il vero Francesco storico è il Francesco della Chiesa e proprio in questo modo parla anche ai non credenti, ai credenti di altre confessioni e religioni.
Francesco e i suoi frati, sempre più numerosi, si stabilirono alla Porziuncola, o chiesa di Santa Maria degli Angeli, luogo sacro per eccellenza della spiritualità francescana. Anche Chiara, una giovane donna di Assisi, di nobile famiglia, si mise alla scuola di Francesco. Ebbe così origine il Secondo Ordine francescano, quello delle Clarisse, un’altra esperienza destinata a produrre frutti insigni di santità nella Chiesa.
Anche il successore di Innocenzo III, il Papa Onorio III, con la sua bolla Cum dilecti del 1218 sostenne il singolare sviluppo dei primi Frati Minori, che andavano aprendo le loro missioni in diversi paesi dell’Europa, e persino in Marocco. Nel 1219 Francesco ottenne il permesso di recarsi a parlare, in Egitto, con il sultano musulmano Melek-el-Kâmel, per predicare anche lì il Vangelo di Gesù. Desidero sottolineare questo episodio della vita di san Francesco, che ha una grande attualità. In un’epoca in cui era in atto uno scontro tra il Cristianesimo e l’Islam, Francesco, armato volutamente solo della sua fede e della sua mitezza personale, percorse con efficacia la via del dialogo. Le cronache ci parlano di un’accoglienza benevola e cordiale ricevuta dal sultano musulmano. È un modello al quale anche oggi dovrebbero ispirarsi i rapporti tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione (cfr Nostra Aetate, 3). Sembra poi che nel 1220 Francesco abbia visitato la Terra Santa, gettando così un seme, che avrebbe portato molto frutto: i suoi figli spirituali, infatti, fecero dei Luoghi in cui visse Gesù un ambito privilegiato della loro missione. Con gratitudine penso oggi ai grandi meriti della Custodia francescana di Terra Santa.
Rientrato in Italia, Francesco consegnò il governo dell’Ordine al suo vicario, fra Pietro Cattani, mentre il Papa affidò alla protezione del Cardinal Ugolino, il futuro Sommo Pontefice Gregorio IX, l’Ordine, che raccoglieva sempre più aderenti. Da parte sua il Fondatore, tutto dedito alla predicazione che svolgeva con grande successo, redasse una Regola, poi approvata dal Papa.
Nel 1224, nell’eremo della Verna, Francesco vede il Crocifisso nella forma di un serafino e dall’incontro con il serafino crocifisso, ricevette le stimmate; egli diventa così uno col Cristo crocifisso: un dono, quindi, che esprime la sua intima identificazione col Signore.
La morte di Francesco – il suo transitus - avvenne la sera del 3 ottobre 1226, alla Porziuncola. Dopo aver benedetto i suoi figli spirituali, egli morì, disteso sulla nuda terra. Due anni più tardi il Papa Gregorio IX lo iscrisse nell’albo dei santi. Poco tempo dopo, una grande basilica in suo onore veniva innalzata ad Assisi, meta ancor oggi di moltissimi pellegrini, che possono venerare la tomba del santo e godere la visione degli affreschi di Giotto, pittore che ha illustrato in modo magnifico la vita di Francesco.
È stato detto che Francesco rappresenta un alter Christus, era veramente un’icona viva di Cristo. Egli fu chiamato anche “il fratello di Gesù”. In effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù. In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla povertà interiore ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali. La prima beatitudine del Discorso della Montagna - Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3) - ha trovato una luminosa realizzazione nella vita e nelle parole di san Francesco. Davvero, cari amici, i santi sono i migliori interpreti della Bibbia; essi, incarnando nella loro vita la Parola di Dio, la rendono più che mai attraente, così che parla realmente con noi. La testimonianza di Francesco, che ha amato la povertà per seguire Cristo con dedizione e libertà totali, continua ad essere anche per noi un invito a coltivare la povertà interiore per crescere nella fiducia in Dio, unendo anche uno stile di vita sobrio e un distacco dai beni materiali.
In Francesco l’amore per Cristo si espresse in modo speciale nell’adorazione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Nelle Fonti francescane si leggono espressioni commoventi, come questa: “Tutta l’umanità tema, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, vi è Cristo, il Figlio del Dio vivente. O favore stupendo! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi per la nostra salvezza, sotto una modica forma di pane” (Francesco di Assisi, Scritti, Editrici Francescane, Padova 2002, 401).
In quest’anno sacerdotale, mi piace pure ricordare una raccomandazione rivolta da Francesco ai sacerdoti: “Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo puro, facciano con riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo” (Francesco di Assisi, Scritti, 399). Francesco mostrava sempre una grande deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni. Portava come motivazione di questo profondo rispetto il fatto che essi hanno ricevuto il dono di consacrare l’Eucaristia. Cari fratelli nel sacerdozio, non dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucaristia ci chiede di essere puri, di vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo.
Dall’amore per Cristo nasce l’amore verso le persone e anche verso tutte le creature di Dio. Ecco un altro tratto caratteristico della spiritualità di Francesco: il senso della fraternità universale e l’amore per il creato, che gli ispirò il celebre Cantico delle creature. È un messaggio molto attuale. Come ho ricordato nella mia recente Enciclica Caritas in veritate, è sostenibile solo uno sviluppo che rispetti la creazione e che non danneggi l’ambiente (cfr nn. 48-52), e nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno ho sottolineato che anche la costruzione di una pace solida è legata al rispetto del creato. Francesco ci ricorda che nella creazione si dispiega la sapienza e la benevolenza del Creatore. La natura è da lui intesa proprio come un linguaggio nel quale Dio parla con noi, nel quale la realtà diventa trasparente e possiamo noi parlare di Dio e con Dio.
Cari amici, Francesco è stato un grande santo e un uomo gioioso. La sua semplicità, la sua umiltà, la sua fede, il suo amore per Cristo, la sua bontà verso ogni uomo e ogni donna l’hanno reso lieto in ogni situazione. Infatti, tra la santità e la gioia sussiste un intimo e indissolubile rapporto. Uno scrittore francese ha detto che al mondo vi è una sola tristezza: quella di non essere santi, cioè di non essere vicini a Dio. Guardando alla testimonianza di san Francesco, comprendiamo che è questo il segreto della vera felicità: diventare santi, vicini a Dio!
Ci ottenga la Vergine, teneramente amata da Francesco, questo dono. Ci affidiamo a Lei con le parole stesse del Poverello di Assisi: “Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te nata nel mondo tra le donne, figlia e ancella dell’altissimo Re e Padre celeste, Madre del santissimo Signor nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo: prega per noi... presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro” (Francesco di Assisi, Scritti, 163).
Benedetto XVI
Udienza Generale, 27 gennaio 2010
Gli Ordini Mendicanti
Cari fratelli e sorelle,
all'inizio del nuovo anno guardiamo alla storia del Cristianesimo, per vedere come si sviluppa una storia e come può essere rinnovata. In essa possiamo vedere che sono i santi, guidati dalla luce di Dio, gli autentici riformatori della vita della Chiesa e della società. Maestri con la parola e testimoni con l’esempio, essi sanno promuovere un rinnovamento ecclesiale stabile e profondo, perché essi stessi sono profondamente rinnovati, sono in contatto con la vera novità: la presenza di Dio nel mondo. Tale consolante realtà, che in ogni generazione cioè nascono santi e portano la creatività del rinnovamento, accompagna costantemente la storia della Chiesa in mezzo alle tristezze e agli aspetti negativi del suo cammino. Vediamo, infatti, secolo per secolo, nascere anche le forze della riforma e del rinnovamento, perché la novità di Dio è inesorabile e dà sempre nuova forza per andare avanti. Così accadde anche nel secolo tredicesimo, con la nascita e lo straordinario sviluppo degli Ordini Mendicanti: un modello di grande rinnovamento in una nuova epoca storica. Essi furono chiamati così per la loro caratteristica di “mendicare”, di ricorrere, cioè, umilmente al sostegno economico della gente per vivere il voto di povertà e svolgere la propria missione evangelizzatrice. Degli Ordini Mendicanti che sorsero in quel periodo, i più noti e i più importanti sono i Frati Minori e i Frati Predicatori, conosciuti come Francescani e Domenicani. Essi sono così chiamati dal nome dei loro Fondatori, rispettivamente Francesco d’Assisi e Domenico di Guzman. Questi due grandi santi ebbero la capacità di leggere con intelligenza “i segni dei tempi”, intuendo le sfide che doveva affrontare la Chiesa del loro tempo.
Una prima sfida era rappresentata dall’espansione di vari gruppi e movimenti di fedeli che, sebbene ispirati da un legittimo desiderio di autentica vita cristiana, si ponevano spesso al di fuori della comunione ecclesiale. Erano in profonda opposizione alla Chiesa ricca e bella che si era sviluppata proprio con la fioritura del monachesimo. In recenti Catechesi mi sono soffermato sulla comunità monastica di Cluny, che aveva sempre più attirato giovani e quindi forze vitali, come pure beni e ricchezze. Si era così sviluppata, logicamente, in un primo momento, una Chiesa ricca di proprietà e anche immobile. Contro questa Chiesa si contrappose l'idea che Cristo venne in terra povero e che la vera Chiesa avrebbe dovuto essere proprio la Chiesa dei poveri; il desiderio di una vera autenticità cristiana si oppose così alla realtà della Chiesa empirica. Si tratta dei cosiddetti movimenti pauperistici del Medioevo. Essi contestavano aspramente il modo di vivere dei sacerdoti e dei monaci del tempo, accusati di aver tradito il Vangelo e di non praticare la povertà come i primi cristiani, e questi movimenti contrapposero al ministero dei Vescovi una propria “gerarchia parallela”. Inoltre, per giustificare le proprie scelte, diffusero dottrine incompatibili con la fede cattolica. Ad esempio, il movimento dei Catari o Albigesi ripropose antiche eresie, come la svalutazione e il disprezzo del mondo materiale – l’opposizione contro la ricchezza diventa velocemente opposizione contro la realtà materiale in quanto tale - la negazione della libera volontà, e poi il dualismo, l'esistenza di un secondo principio del male equiparato a Dio. Questi movimenti ebbero successo, specie in Francia e in Italia, non solo per la solida organizzazione, ma anche perché denunciavano un disordine reale nella Chiesa, causato dal comportamento poco esemplare di vari esponenti del clero.
I Francescani e i Domenicani, sulla scia dei loro Fondatori, mostrarono, invece, che era possibile vivere la povertà evangelica, la verità del Vangelo come tale, senza separarsi dalla Chiesa; mostrarono che la Chiesa rimane il vero, autentico luogo del Vangelo e della Scrittura. Anzi, Domenico e Francesco trassero proprio dall’intima comunione con la Chiesa e con il Papato la forza della loro testimonianza. Con una scelta del tutto originale nella storia della vita consacrata, i Membri di questi Ordini non solo rinunciavano al possesso di beni personali, come facevano i monaci sin dall’antichità, ma neppure volevano che fossero intestati alla comunità terreni e beni immobili. Intendevano così testimoniare una vita estremamente sobria, per essere solidali con i poveri e confidare solo nella Provvidenza, vivere ogni giorno della Provvidenza, della fiducia di mettersi nelle mani di Dio. Questo stile personale e comunitario degli Ordini Mendicanti, unito alla totale adesione all’insegnamento della Chiesa e alla sua autorità, fu molto apprezzato dai Pontefici dell’epoca, come Innocenzo III e Onorio III, i quali offrirono il loro pieno sostegno a queste nuove esperienze ecclesiali, riconoscendo in esse la voce dello Spirito. E i frutti non mancarono: i gruppi pauperistici che si erano separati dalla Chiesa rientrarono nella comunione ecclesiale o, lentamente, si ridimensionarono fino a scomparire. Anche oggi, pur vivendo in una società in cui spesso prevale l’“avere” sull’“essere”, si è molto sensibili agli esempi di povertà e di solidarietà, che i credenti offrono con scelte coraggiose. Anche oggi non mancano simili iniziative: i movimenti, che partono realmente dalla novità del Vangelo e lo vivono con radicalità nell’oggi, mettendosi nelle mani di Dio, per servire il prossimo. Il mondo, come ricordava Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi, ascolta volentieri i maestri, quando sono anche testimoni. È questa una lezione da non dimenticare mai nell’opera di diffusione del Vangelo: vivere per primi ciò che si annuncia, essere specchio della carità divina.
Francescani e Domenicani furono testimoni, ma anche maestri. Infatti, un’altra esigenza diffusa nella loro epoca era quella dell’istruzione religiosa. Non pochi fedeli laici, che abitavano nelle città in via di grande espansione, desideravano praticare una vita cristiana spiritualmente intensa. Cercavano dunque di approfondire la conoscenza della fede e di essere guidati nell’arduo, ma entusiasmante cammino della santità. Gli Ordini Mendicanti seppero felicemente venire incontro anche a questa necessità: l'annuncio del Vangelo nella semplicità e nella sua profondità e grandezza era uno scopo, forse lo scopo principale di questo movimento. Con grande zelo, infatti, si dedicarono alla predicazione. Erano molto numerosi i fedeli, spesso vere e proprie folle, che si radunavano per ascoltare i predicatori nelle chiese e nei luoghi all’aperto, pensiamo a sant'Antonio, per esempio. Venivano trattati argomenti vicini alla vita della gente, soprattutto la pratica delle virtù teologali e morali, con esempi concreti, facilmente comprensibili. Inoltre, si insegnavano forme per nutrire la vita di preghiera e la pietà. Ad esempio, i Francescani diffusero molto la devozione verso l’umanità di Cristo, con l’impegno di imitare il Signore. Non sorprende allora che fossero numerosi i fedeli, donne ed uomini, che sceglievano di farsi accompagnare nel cammino cristiano da frati Francescani e Domenicani, direttori spirituali e confessori ricercati e apprezzati. Nacquero, così, associazioni di fedeli laici che si ispiravano alla spiritualità di san Francesco e di san Domenico, adattata al loro stato di vita. Si tratta del Terzo Ordine, sia francescano che domenicano. In altri termini, la proposta di una “santità laicale” conquistò molte persone. Come ha ricordato il Concilio Ecumenico Vaticano II, la chiamata alla santità non è riservata ad alcuni, ma è universale (cfr Lumen gentium, 40). In tutti gli stati di vita, secondo le esigenze di ciascuno di essi, si trova la possibilità di vivere il Vangelo. Anche oggi ogni cristiano deve tendere alla “misura alta della vita cristiana”, a qualunque stato di vita appartenga!
L’importanza degli Ordini Mendicanti crebbe così tanto nel Medioevo che Istituzioni laicali, come le organizzazioni del lavoro, le antiche corporazioni e le stesse autorità civili, ricorrevano spesso alla consulenza spirituale dei Membri di tali Ordini per la stesura dei loro regolamenti e, a volte, per la soluzione di contrasti interni ed esterni. I Francescani e i Domenicani diventarono gli animatori spirituali della città medievale. Con grande intuito, essi misero in atto una strategia pastorale adatta alle trasformazioni della società. Poiché molte persone si spostavano dalle campagne nelle città, essi collocarono i loro conventi non più in zone rurali, ma urbane. Inoltre, per svolgere la loro attività a beneficio delle anime, era necessario spostarsi secondo le esigenze pastorali. Con un’altra scelta del tutto innovativa, gli Ordini mendicanti abbandonarono il principio di stabilità, classico del monachesimo antico, per scegliere un altro modo. Minori e Predicatori viaggiavano da un luogo all’altro, con fervore missionario. Di conseguenza, si diedero un’organizzazione diversa rispetto a quella della maggior parte degli Ordini monastici. Al posto della tradizionale autonomia di cui godeva ogni monastero, essi riservarono maggiore importanza all’Ordine in quanto tale e al Superiore Generale, come pure alla struttura delle provincie. Così i Mendicanti erano maggiormente disponibili per le esigenze della Chiesa Universale. Questa flessibilità rese possibile l’invio dei frati più adatti per lo svolgimento di specifiche missioni e gli Ordini Mendicanti raggiunsero l’Africa settentrionale, il Medio Oriente, il Nord Europa. Con questa flessibilità il dinamismo missionario venne rinnovato.
Un’altra grande sfida era rappresentata dalle trasformazioni culturali in atto in quel periodo. Nuove questioni rendevano vivace la discussione nelle università, che sono nate alla fine del XII secolo. Minori e Predicatori non esitarono ad assumere anche questo impegno e, come studenti e professori, entrarono nelle università più famose del tempo, eressero centri di studi, produssero testi di grande valore, diedero vita a vere e proprie scuole di pensiero, furono protagonisti della teologia scolastica nel suo periodo migliore, incisero significativamente nello sviluppo del pensiero. I più grandi pensatori, san Tommaso d'Aquino e san Bonaventura, erano mendicanti, operando proprio con questo dinamismo della nuova evangelizzazione, che ha rinnovato anche il coraggio del pensiero, del dialogo tra ragione e fede. Anche oggi c’è una “carità della e nella verità”, una “carità intellettuale” da esercitare, per illuminare le intelligenze e coniugare la fede con la cultura. L’impegno profuso dai Francescani e dai Domenicani nelle università medievali è un invito, cari fedeli, a rendersi presenti nei luoghi di elaborazione del sapere, per proporre, con rispetto e convinzione, la luce del Vangelo sulle questioni fondamentali che interessano l’uomo, la sua dignità, il suo destino eterno. Pensando al ruolo dei Francescani e Domenicani nel Medioevo, al rinnovamento spirituale che suscitarono, al soffio di vita nuova che comunicarono nel mondo, un monaco disse: “In quel tempo il mondo invecchiava. Due Ordini sorsero nella Chiesa, di cui rinnovarono la giovinezza come quella di un’aquila” (Burchard d’Ursperg, Chronicon).
Cari fratelli e sorelle, invochiamo proprio all'inizio di quest'anno lo Spirito Santo, eterna giovinezza della Chiesa: egli faccia sentire ad ognuno l’urgenza di offrire una testimonianza coerente e coraggiosa del Vangelo, affinché non manchino mai santi, che facciano risplendere la Chiesa come sposa sempre pura e bella, senza macchia e senza ruga, capace di attrarre irresistibilmente il mondo verso Cristo, verso la sua salvezza.
Benedetto XVI
Ordo Fratrum Minorum - Frati Francescani
Frati Predicatori - i Domenicani